Skip to main content

Da tanti, tantissimi anni quel grande quadro faceva mostra di sé nella piccola chiesa dedicata a Santa Chiara, compresa nell’area dell’omonimo Istituto che ospita gli anziani non autosufficienti. La posizione decentrata della chiesa rispetto ai circuiti turistici ha fatto si’ che pochi, eccetto ammalati e borghigiani e, naturalmente, studiosi del settore, conoscessero la tela da sempre attribuita a Giuseppe Arrighi pittore volterrano seicentesco. Ma chi poteva immaginare che “la Madonna che porge il Bambino a San Felice da Cantalice” era invece un’opera giovanile del grande pittore dei Medici, il Volterrano Baldassarre Franceschini? Chi se non un giovane studioso fiorentino, Alessandro Grassi, che nella catalogazione di tutte le opere del grande artista seicentesco ha iniziato a pensare anche alle opere giovanili dell’artista, nel periodo vissuto a Volterra prima della sua partenza per i fasti della corte Medicea.

La sicurezza dello studioso è andata ad incontrare il sostegno dell’esperto della Sopraintendenza, il dott Amedeo Mercurio, la collaborazione fruttuosa della nostra Associazione e della Fondazione C.R.V. e della proprietaria del quadro, l’Asp Santa Chiara.

Il Consiglio degli AdM già nel 2012 ha deliberato lo stanziamento di parte della somma necessaria al restauro del grande dipinto che versava in condizioni non propriamente ottimali ed ha immediatamente incontrato la collaborazione finanziaria per la buona riuscita dell’operazione da parte della Fondazione C.R.V. Nel mese di Settembre del 2013 l’opera è stata prelevata dalla sede che da anni l’ospitava (ricordiamo che originariamente era collocata nella Chiesa dei Cappuccini a Volterra) ed ora trovasi a Cascina presso i laboratori di Arterestauro, la Società che è stata incaricata di provvedere a l restauro della tela. Ad eliminare ogni dubbio che potesse ancora sussistere circa l’esatta attribuzione della tela è bastato scenderla dalla sua posizione originale nella chiesa di Santa Chiara, liberarla dalla sua pesante cornice ottocentesca ed ammirare nel sostegno ligneo posteriore la frase del Cigna, pittore e restauratore settecentesco: “1635 Balt.Franceschini volats (volaterranus) pinx” ed ancora “ ic1735 restaurat” Tutto questo a conferma di quanto a suo tempo scritto da Ippolito Cigna, pittore e restauratore volterrano, che fu chiamato, appena cent’anni dopo l’esecuzione del San Felice, a restaurarlo in quanto un cappuccino che passava nei pressi dell’opera sorreggendosi con una canna, perse l’equilibrio ed andò ad infilzare letteralmente lo strumento nel capolavoro del Volterrano. Con la prima ripulitura della tela è apparso immediatamente il restauro settecentesco che verrà conservato ad evidenziare quanto scritto dal Cigna.

Ciò che sicuramente è indescrivibile la gioia e l’emozione di chi, nella nostra Associazione, fra gli studiosi ed i restauratori, ha creduto fermamente che quel quadro dimenticato in una piccola chiesetta, ricoperto dalla spessa patina del tempo e danneggiato in alcune parti, potesse essere una bella opera giovanile di un grande pittore, di un grande volterrano che la sua città ha negli ultimi anni sicuramente dimenticato.

Ed è proprio con la speranza che tale quadro venga presto collocato nella sua naturale sede, la Pinacoteca Comunale, si va a chiudere il percorso virtuoso della tela del Franceschini; percorso iniziato grazie all’intuizione di un valido giovane studioso, alla collaborazione di un’Associazione che si è autotassata allo scopo, di una Fondazione sempre pronta a recepire le richieste di un territorio così ricco di opere spesso dimenticate; grazie alla proprietaria della tela, l’Asp Santa Chiara ed a bravi valenti restauratori.


Baldassarre Franceschini nacque a Volterra nel 1611. La sua carriera si svolse prevalentemente a Firenze ‒ e il soprannome di “Volterrano” destinato a renderlo noto porta le tracce del suo percorso dalla periferia verso la capitale e la corte granducale‒, dove ebbe come maestro Matteo Rosselli (1578-1680). A Firenze lavorò moltissimo legando il suo nome quasi esclusivamente a committenze medicee. Si ricordano: il quartiere detto “del Volterrano” a Palazzo Pitti, con gli affreschi della Sala delle Allegorie e della Sala dell’Aurora; gli affreschi delle sale di Palazzo Niccolini e della volta della chiesa di Santa Maria Maggiore; nella Basilica della Santissima Annunziata, oltre al soffitto decorato su suo disegno, ci sono tele raffiguranti L’Assunta, San Filippo Benizzi e San Giovanni Evangelista. Altri cicli affrescati sono nelle ville medicee di Castello e delle Petraia (I fasti medicei). Tra le numerose tele da lui dipinte, notissime sono Una burla del pievano Arlotto e il ritratto del cardinale Giovan Carlo de’ Medici, entrambe conservate alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Soggiornò anche a Roma dove ebbe modo di frequentare Pietro da Cortona che lasciò tracce evidente nel suo stile pittorico.

Il suo rapporto con Volterra è contrassegnato da diversi soggiorni in cui, a causa forse della breve durata, non ha avuto modo tanto di eseguire opere o cicli complessi, quanto di sostenere e affiancare altri artisti, alle cui opere ha in molti casi contribuito (tra questi va menzionato Giuseppe Arrighi, attivissimo nelle chiese di Volterra e senz’altro meritevole dell’attributo di allievo del Volterrano).

Baldassarre morì a Firenze nel 1689.


L’OSPIZIO SVELA DUE CAPOLAVORI

Non erano “croste”: quadri del “Volterrano”, uno firmato, attribuiti dopo la pulizia in un laboratorio.

La casa di riposo Santa Chiara di Volterra è nella zona che più ha mantenuto le caratteristiche di piccolo borgo. Ristrutturata di recente, per secoli ha celato un prezioso tesoro, che ha svelato soltanto a fine di settembre 2013. Due opere che finora sono state considerate poco più che “croste”, grazie alla curiosità di due restauratori, sono state attribuite a Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano (1611–1689), uno dei pittori seicenteschi favoriti della famiglia Medici.

Le opere. Una è La Madonna che porge il Bambino a San Felice da Cantalice, mentre l’altra, più piccola, è una Madonna col Bambino, che ancora però necessita di accertamenti più accurati. La prima è una tela di due metri di altezza, ed era nella piccola e poco frequentata chiesa dell’istituto; alla fine dei lavori sarà ospitata dalla Pinacoteca comunale di Volterra. La seconda opera, invece, era posta a copertura di una cassaforte a muro.

Attribuzioni sbagliate. Come sia stato possibile non attribuire le opere a Franceschini, lo spiega Amedeo Mercurio, storico dell’arte che dirige i lavori di restauro: «Rispetto ad altri lavori, La Madonna che porge il Bambino è di qualità più bassa e quindi si diceva, sbagliando, che non fosse possibile attribuirla a lui, senza ricordarsi che anche per i grandi maestri, esistono fasi di sperimentazione».

Le indagini. Grazie al finanziamento dell’associazione Amici dei musei di Volterra, i due quadri sono stati trasferiti nel laboratorio di restauro di Cascina dove, sotto la direzione di Mercurio, Silvia Bartolucci e Moira Colombini le stanno sottoponendo a operazioni di ripulitura e stuccatura. Sulla prima tela, quella più grande, non ci sono dubbi: «Nel mio percorso di laurea ho approfondito questo grande pittore dei Seicento italiano e, andando a Volterra, ho notato che queste opere attribuite a un allievo di Franceschini, Giuseppe Arrighi, in realtà presentavano somiglianze plateali con quadri noti del Volterrano che si trovano sia nella città sul Colle etrusco che a Firenze», racconta Alessandro Grassi, giovane studioso dell’Università di Firenze.

Il restauro. Quando la tela con San Felice arriva al laboratorio cascinese, è lacera e presenta il distacco delle pellicole pittoriche; in più, i colori sono tutti offuscati. Rimosso l’involucro di legno, che il quadro possiede dal 1635, si scopre sul retro, la scritta in latino «1635 balt. Franceschini volats (volaterranus) pinx», cioè la firma e la data.

Altre sorprese. Dietro al dipinto, poi, c’è un’altra data: «ic 1735, restaurat: A d (Anno domini) 1735»; “ic” sta per Ippolito Maria Cigna, un restauratore volterrano del Settecento che, su un manoscritto, racconta di aver lavorato proprio su questa tela, quella con San Felice, e di averlo fatto «dopo la cannata di un cappellano».

“Un Volterrano a Volterra”. Questo il nome del progetto nato con la scoperta, e le indagini sulle opere sono soltanto il primo passo per la valorizzazione di quanto, a Volterra, realizza il pittore. L’iniziativa è stata ideata da Mercurio, che ha subito trovato l’appoggio della soprintendenza ai Beni cultuali di Pisa.

Errori. «Nel 2011, ricorreva il quarto centenario della nascita del pittore», dice Mercurio, «ma non è stato celebrato. Una grossa caduta delle istituzioni coinvolte, compresa la mia: per espiare questa colpa, abbiamo pensato a un progetto che riconsideri le opere del Volterrano, erroneamente attribuite ad altri. È grazie all’associazione Amici dei Musei e alla Fondazione cassa di risparmio che possiamo andare avanti».

Leave a Reply